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Antonio Mancini, nato il 14 novembre 1852 a Roma, è stato uno dei pittori italiani più significativi del tardo Ottocento. La sua vita e la sua arte sono state caratterizzate da un precoce talento e da una serie di vicissitudini personali che hanno influenzato profondamente il suo stile pittorico. Mancini crebbe in una famiglia di umili origini; suo padre era un sarto. La sua inclinazione per l'arte si manifestò fin da bambino, tanto che a soli dodici anni fu ammesso all'Istituto di Belle Arti di Napoli, dove studiò sotto la guida di Domenico Morelli e Filippo Palizzi. Morelli, in particolare, era noto per le sue scene storiche e per un uso drammatico del chiaroscuro e della pennellata vigorosa, elementi che avrebbero avuto un impatto significativo sullo sviluppo artistico di Mancini. Durante i suoi anni di formazione, Mancini fu influenzato anche dallo scultore Stanislao Lista e dal pittore Vincenzo Gemito, con cui condivise un'amicizia e un percorso artistico. Queste influenze lo portarono a distaccarsi dai temi accademici per dedicarsi alla rappresentazione della vita popolare napoletana, spesso popolata da scugnizzi, ovvero i bambini poveri delle strade di Napoli, che divennero uno dei suoi soggetti preferiti. Nel 1872, Mancini espose due opere al Salon di Parigi, ottenendo un immediato riconoscimento internazionale. Questo successo gli permise di entrare nella cerchia del mercante d'arte Goupil e di assicurarsi il patrocinio di importanti mecenati come il pittore olandese H. W. Mesdag e il musicista belga Albert Cahen. Durante i suoi soggiorni a Parigi tra il 1875 e il 1878, Mancini entrò in contatto con i pittori impressionisti Edgar Degas e Édouard Manet e strinse una profonda amicizia con John Singer Sargent, che lo definì il più grande pittore vivente. La tecnica pittorica di Mancini si distingueva per l'uso di una tavolozza luminosa e per una tecnica di impasto marcato, che a volte includeva l'uso di materiali insoliti come pezzi di vetro o fogli di metallo per ottenere effetti di luce particolari. Questo approccio innovativo lo rese noto per la sua capacità di catturare la fragilità e la vulnerabilità dei suoi soggetti, come dimostrato nel suo ritratto di un giovane acrobata in "Il Saltimbanco" (1877-78). La vita di Mancini fu segnata da una serie di sfide personali, tra cui una malattia mentale che lo colpì nel 1881 e che lo costrinse a ritirarsi a Roma nel 1883. Qui visse per vent'anni, spesso in condizioni di indigenza, dipendendo dall'aiuto di amici e acquirenti d'arte per sopravvivere. Nonostante le difficoltà, continuò a dipingere, prediligendo i ritratti durante questo periodo difficile. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la situazione di Mancini si stabilizzò e il suo lavoro raggiunse una nuova serenità. Morì a Roma il 28 dicembre 1930 e fu sepolto nella Basilica Santi Bonifacio e Alessio sull'Aventino. Le sue opere sono esposte in importanti gallerie italiane, tra cui la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma e il Museo Civico-Galleria d'Arte Moderna di Torino. Uno degli episodi più significativi della sua carriera avvenne nel 1903, quando dipinse il ritratto dell'ambasciatore americano in Italia, George Von Lengerke Meyer. Quest'opera, ritenuta perduta per lungo tempo, fu riscoperta nel 2023 dall’storico dell'arte italiano Manuel Carrera nelle collezioni d'arte della Marina di Washington. La vita e l'arte di Antonio Mancini sono state oggetto di numerose pubblicazioni e mostre, che hanno contribuito a consolidare la sua reputazione come uno dei più grandi artisti italiani del suo tempo. La sua capacità di catturare la realtà della vita quotidiana e la sua tecnica pittorica innovativa continuano a influenzare e ispirare artisti e appassionati d'arte in tutto il mondo.
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