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Nicola Palizzi nacque a Vasto, in Abruzzo, il 20 febbraio 1820, in una famiglia che avrebbe lasciato un segno indelebile nel mondo dell'arte italiana dell'Ottocento. Figlio di Antonio Palizzi, avvocato ed insegnante di belle lettere di origine siciliana, e di Doralice Del Greco, donna colta e dedita alla musica, Nicola crebbe in un ambiente familiare che favorì il suo precoce interesse per l'arte. La sua formazione artistica iniziò a Napoli, dove si trasferì nel 1842 per iscriversi al Real Istituto di Belle Arti. Qui, sotto la guida di Gabriele Smargiassi, uno dei massimi esponenti del paesaggismo napoletano, Nicola iniziò a sviluppare il suo stile personale, caratterizzato da una profonda attenzione per il paesaggio e la natura. Durante i primi anni Cinquanta, la produzione artistica di Nicola Palizzi si orientò verso due principali correnti: da un lato, un paesaggismo storico, influenzato da Massimo d’Azeglio e praticato a Napoli da Smargiassi; dall'altro, un paesaggismo dal vero, di impianto posillipista. Quest'ultimo approccio divenne predominante nella sua opera a partire dal 1851, anno in cui iniziò a realizzare dipinti di cronaca e, successivamente, vari dipinti dal vero. La sua concezione pittorica si rafforzò ulteriormente dopo un viaggio a Parigi nel 1856, dove ebbe modo di conoscere Camille Corot e i Barbizonnier, influenzando decisamente il suo stile. Nicola Palizzi è noto per essere stato uno degli illustratori, insieme al fratello Filippo, dell'opera "Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti", che rappresenta una testimonianza fondamentale della vita e delle tradizioni del Sud Italia dell'epoca. La sua opera si distingue per la capacità di catturare l'essenza del paesaggio italiano, attraverso una pittura che predilige la verità e l'osservazione diretta della natura, in contrapposizione all'accademismo mitologico ancora prevalente in quel periodo. Tra le sue opere più significative si ricordano "Melfi distrutta dal terremoto", "Un paesaggio della provincia di Avellino", premiati all'Esposizione napoletana del 1865, "La caccia al cinghiale", conservata nella Reggia di Capodimonte, "Dopo la tempesta", nella Pinacoteca di Lisbona, e "La piazza Orsini a Benevento", conservata nella Pinacoteca di Vasto. Questi lavori evidenziano la sua maestria nel rappresentare scene di vita quotidiana e paesaggi naturali con un realismo vibrante e una sensibilità cromatica eccezionale. Nicola Palizzi morì prematuramente a Napoli il 26 settembre 1870, all'apice della sua carriera. Nonostante la sua vita fosse stata relativamente breve, lasciò un'eredità artistica di grande valore, che lo colloca tra i maggiori esponenti della scuola di Posillipo e, più in generale, del paesaggismo italiano dell'Ottocento. La sua opera ha esercitato un'influenza significativa sull'intera cultura europea dell'epoca, contribuendo a definire una nuova corrente pittorica che privilegiava la rappresentazione fedele e diretta della realtà naturale. La famiglia Palizzi, grazie ai contributi di Nicola e dei suoi fratelli Filippo, Giuseppe e Francesco Paolo, divenne sinonimo di innovazione e qualità artistica, rompendo con le convenzioni accademiche e introducendo nel panorama artistico napoletano e italiano un nuovo modo di intendere e praticare l'arte, basato sulla verità e sull'osservazione diretta del mondo naturale. La loro eredità continua a essere celebrata e studiata, rappresentando un capitolo fondamentale nella storia dell'arte italiana.
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