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Arturo Rietti, nato a Trieste il 3 marzo 1863 e deceduto a Padova il 6 febbraio 1943, è stato un pittore italiano la cui vita e opera si intrecciano strettamente con la storia culturale e artistica di fine Ottocento e inizio Novecento. Figlio ultimogenito di Alessandro Riettis, un commerciante greco originario di Zante e di fede ebraica, e di Elena Laudi, appartenente a un'agiata famiglia triestina anch'essa di origine ebraica, Rietti crebbe in un ambiente familiare colto e stimolante che influenzò profondamente la sua formazione artistica e intellettuale. La prematura scomparsa del padre nel 1879 segnò un punto di svolta nella vita del giovane Arturo, che all'età di sedici anni si trasferì in Toscana, a San Giovanni Valdarno, presso il fratello Riccardo, proprietario di una fabbrica al Galluzzo. Fu in questo periodo che Rietti iniziò formalmente il suo percorso artistico, iscrivendosi all'Accademia di Belle Arti di Firenze. Qui, venne a contatto con il clima verista macchiaiolo e con la svolta internazionale di Giuseppe De Nittis, esperienze che influenzarono profondamente il suo stile pittorico. La sua attività di pittore fu orientata soprattutto verso la ritrattistica, ambito in cui Rietti eccelleva, riuscendo a catturare con sensibilità e introspezione gli stati più nascosti dell'animo umano. La sua arte si caratterizzava per una ricerca della verità che andava oltre il naturalismo ottocentesco, verso una pittura che comprendeva un'analisi introspettiva con forti implicazioni già tutta novecentesca. Questa tendenza si manifestò pienamente durante il suo soggiorno a Trieste, città che, dedicata alla psicoanalisi e all'introspezione, offrì a Rietti l'ambiente ideale per maturare il suo stile unico. Dopo aver ottenuto un grande successo all'Esposizione di Monaco del 1889, Rietti rientrò a Trieste, ormai affermato come pittore a livello europeo. La sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1897 consolidò ulteriormente la sua reputazione, grazie alla critica che elogiò i suoi ritratti per la stretta adesione alla personalità dell'effigiato. La sua opera si distingueva per l'uso del pastello, medium che gli permetteva di creare atmosfere di sospensione e attesa attorno ai volti ritratti, conferendo intensità psicologica e resa emotiva alle sue opere. Nonostante il successo, Rietti mantenne un atteggiamento critico nei confronti delle avanguardie artistiche e della critica contemporanea, preferendo rifugiarsi in una pittura spesso considerata desueta, tipica del periodo della Belle Époque. Questa scelta rifletteva non solo una preferenza estetica, ma anche una posizione etica e intellettuale, come dimostra la sua amicizia con Italo Svevo, con cui condivideva una visione critica della modernità. La sua produzione artistica non si limitò alla ritrattistica; Rietti esplorò anche il paesaggio e la natura morta, come dimostrano le sue esposizioni, tra cui quella alla Galleria Pesaro di Milano nel 1925, dove presentò quasi novanta opere che riassumono le principali tappe della sua carriera. Nonostante la varietà dei soggetti trattati, il ritratto rimase il genere principale della sua attività artistica, attraverso il quale perseguiva l'obiettivo di "rivelare una verità segreta, profonda dell'anima del soggetto". Arturo Rietti morì a Padova nel 1943, lasciando un'eredità artistica di grande valore, testimoniata dalle sue opere conservate in importanti collezioni pubbliche e private. La sua vita e il suo lavoro rimangono un esempio significativo dell'arte italiana di transizione tra Ottocento e Novecento, caratterizzata da una profonda riflessione sull'individuo e sulla sua interiorità.
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