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Vincenzo Gemito è stato uno scultore e disegnatore italiano, nato a Napoli nel 1852. La sua vita è stata segnata da un inizio difficile, abbandonato dai genitori presso la Pia Casa dell'Annunziata, una sorta di orfanotrofio, dove fu adottato da Giuseppina Baratta. La sua passione per l'arte si manifestò precocemente, e già all'età di nove anni, Gemito si presentò allo scultore Emmanuele Caggiano, che lo accolse, permettendogli di vivere e lavorare con sé. In questo periodo, Gemito iniziò a disegnare, copiando i modelli in gesso dell'anziano scultore, ma la sua permanenza con Caggiano fu interrotta da un incidente: una caduta da una scala che gli provocò un grave trauma. Dopo la guarigione, Gemito tornò brevemente nello studio di Caggiano, ma poco dopo scomparve, per essere accolto, nel 1864, nello studio di Stanislao Lista. Anche qui la sua permanenza fu breve, e Gemito decise infine di stabilire il suo primo studio in uno stanzone abbandonato di S.Andrea delle Dame, condiviso con l'amico Antonio Mancini. Durante l'apprendistato presso Lista, Gemito partecipò a un concorso per la statua di Bruto, indetto dalla Società Promotrice di Belle Arti. Sebbene il suo bozzetto non vincesse, ottenne il consenso di D. Morelli e gli fu chiesto di tradurlo in marmo, materiale per il quale Gemito nutriva avversione per la sua mancanza di rapidità d'esecuzione. Nel 1868, a soli sedici anni, modellò il ritratto di Mancini e il Gladiatore, che fu esposto alla Promotrice di Napoli e acquistato dal Re, venendo poi collocato nel Museo di Capodimonte. Questi anni furono seguiti da un periodo di profonda crisi personale, aggravata dalla morte di Anna Cutolo, divenuta sua moglie, e dallo scontro interiore nato con l'ordinazione della statua di Carlo V per il Palazzo Reale di Napoli. Questo lavoro, estraneo alla sua visione artistica incentrata su figure semplici e soggetti quotidiani, aggravò la sua crisi esistenziale. La crisi personale di Gemito si intensificò quando, dopo aver completato la statua di Carlo V in gesso (poi tradotta in marmo da un artigiano), un gesto violento contro la statua finita gli costò il ricovero in una casa di salute. Dalla casa di cura fuggì, rifugiandosi nella sua dimora in via Tasso a Napoli, dove si dedicò a un lavoro da cesellatore per un "Trionfo da tavola" in argento per il Re Umberto I, rimasto poi incompiuto. Gemito trascorse venti anni in una sorta di volontaria segregazione, uscendo solo saltuariamente e alternando momenti di lavoro a periodi di solitaria follia, di cui rimangono splendidi disegni. Nel 1906, Gemito si rimise al lavoro, realizzando opere di oreficeria e cercando di ottenere uno studio a Roma in Castel Sant'Angelo. La sua ultima scultura, un ritratto dell'attore Raffaele Viviani, risale al 1926. La vita e l'opera di Vincenzo Gemito sono testimonianza di un talento eccezionale, capace di esprimere con profondità e sensibilità la realtà umana e sociale del suo tempo, nonostante le personali battaglie interne e le difficoltà incontrate lungo il suo percorso artistico.