Nel centro delle Langhe, tra i filari e le colline sinuose, brilla ancora la figura rivoluzionaria di Pinot Gallizio, un visionario che ha trasformato Alba in un palcoscenico di ingegno e fervore, e che vive ancora a sessant’anni dalla sua scomparsa avvenuta il 13 febbraio 1964, per via di un infarto. In città il suo nome risuona nel liceo scientifico e nel territorio nomade. Era il lontano 1963 quando la critica d’arte Carla Lonzi lanciò un vibrante monito riguardante la personalità esplosiva di Gallizio. Quest’uomo, con la sua vitalità travolgente, rischiava di eclissare la sua stessa arte con la potenza della sua esistenza. Gallizio, originario di Alba, incarnava lo spirito ribelle e creativo della città. La sua audace determinazione lo spingeva a sfidare ogni convenzione, a ballare al ritmo del suo genio senza freni.
Chi è stato il pittore Pinot Gallizio?
Nato nel 1902, Giuseppe “Pinot” Gallizio esplorò con passione ogni campo del sapere umano prima di dedicarsi alla pittura, trasformando la sua città natale in un crogiolo di idee e ispirazione. Chimico di formazione e farmacista di mestiere, fu uno dei precursori nel promuovere eventi culturali come il Palio degli Asini, che riportava in vita la tradizione medievale con un tocco di modernità. Ma la sua sete di conoscenza lo portò ben oltre i limiti della scienza. Fu storico, archeologo e, soprattutto, un fervente attivista durante la Resistenza, contribuendo a plasmare il destino della sua amata Alba. E quando finalmente si dedicò alla pittura, la sua arte risuonò come un’esplosione di colori ed emozioni. I suoi dipinti, dallo stile industriale alle opere monumentali come “La Gibigianna” e “Le Notti di Cristallo”, erano un omaggio alla sua città, una celebrazione della bellezza e della creatività che Alba aveva ispirato in lui. Ma come ogni grande mente, Gallizio non conosceva requie. La sua ricerca artistica lo trascinò in un vortice di innovazione e sperimentazione, fino alla sua prematura scomparsa nel 1964. La sua tecnica distintiva consisteva nell’applicare colori a base di polimero su grandi rotoli di tela, consentendo la creazione di opere monumentali che potevano essere arrotolate e trasportate con facilità. Questa audace sperimentazione con materiali e dimensioni ha abbattuto le barriere tra l’arte e il mondo reale. Il suo legame con Alba non si limitava alla sua produzione artistica, ma abbracciava la sua stessa esistenza. Cresciuto e radicato nelle strade della città, Gallizio era un figlio della terra, legato alle sue tradizioni e ispirato dalla sua bellezza. Uomo dalle molteplici sfaccettature, oltre ai suoi interessi storici e agli studi, si distinse per la sua attività di archeologo presso il museo “Eusebio”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu coinvolto prima nell’esercito italiano e poi nella Resistenza, diventando parte del Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) nella sezione langarola. Questa esperienza lo mise in stretto contatto con importanti intellettuali della zona, come Beppe Fenoglio, Pietro Chiodi, don Natale Bussi e Francesco Morra, con i quali sviluppò legami profondi. L’ambiente culturale di Alba nel dopoguerra si rivelò particolarmente stimolante, e Gallizio vi partecipò attivamente. Dopo il conflitto, riprese con fervore l’attività archeologica, contribuendo a importanti scoperte di reperti di epoca neolitica nel territorio albese. Inoltre, nel 1945 avviò un corso di erboristeria e aromaterapia enologica e liquoristica presso la Scuola Enologica. Durante questo periodo, sviluppò il progetto di coltivazione di piante officinali e aromatiche nelle Langhe. Anche il suo impegno politico e sociale rifletteva il profondo legame che aveva con la comunità albese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si dedicò attivamente alla politica locale, difendendo con ardore le minoranze e lavorando instancabilmente per migliorare le condizioni di vita dei suoi concittadini. Ma è nella sua espressione artistica che Gallizio ha lasciato il segno più indelebile. La sua pittura, audace e rivoluzionaria, ha trasformato gli spazi urbani di Alba in gallerie a cielo aperto, dove colore e forma danzano in armonia con l’ambiente circostante. Pinot Gallizio non era soltanto un artista di talento, ma anche un uomo dalle profonde convinzioni sociali. Il suo impegno per le popolazioni discriminate si manifestò in modi straordinari, uno dei quali fu la sua esposizione sulla vetrina della farmacia, intitolata “L’uomo è sempre l’uomo. È iniziata la grande battaglia per la sosta degli zingari”. Questa mostra, audace e provocatoria, sollevò importanti questioni sulla condizione degli zingari e sulla loro accettazione nella società. Ma Pinot Gallizio non si limitò a esporre opere d’arte; si immerse attivamente nella lotta per i diritti degli zingari, immaginando un futuro in cui le loro voci fossero ascoltate e rispettate. La sua dedizione non passò inosservata, guadagnandosi il soprannome tra gli albesi perplessi di “re degli zingari”. Tuttavia, il suo contributo non si fermò alla militanza sociale. Gallizio trasformò anche la sua arte per celebrare la cultura zingara. Le sue opere vibranti e colorate raccontano storie di gioia, dolore e resilienza, catturando l’essenza di una comunità spesso misconosciuta. L’anno della sua scomparsa La Biennale di Venezia, con il suo palcoscenico internazionale, presentò al mondo la sua visione.
Carriera artistica
La sua carriera artistica inizia in ritardo, e dopo aver entrato in contatto con Asger Jorn, nel 1956 fonda ad Alba il “Primo laboratorio sperimentale per una Bauhaus immaginista”. Da quel momento la sua attività diventa frenetica e incessante. Nello stesso anno organizza ad Alba il “Primo congresso mondiale degli artisti liberi”, che vede la partecipazione di Ettore Sottsass, Piero Simondo, Enrico Baj, Constant, Gil Wolman e Elena Verrone, insieme a esponenti delle correnti artistiche avanzate provenienti da otto nazioni. In quella occasione tiene al Politeama Corino la mostra del Laboratorio sperimentale di Alba.
Nel 1957 a Cosio di Arroscia partecipa alla fondazione dell’Internazionale situazionista, risultato dalla fusione del movimento lettrista con il Movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, insieme a Guy Debord, Michèle Bernstein, Asger Jorn, Constant, Walter Olmo, Piero Simondo, Elena Verrone, Rulph Rumney.
Gallizio, che farà parte del movimento fino alla sua esclusione insieme a suo figlio Piergiorgio nel 1960, avvia nel febbraio del 1958 la produzione della pittura industriale che espone a Torino nel maggio dello stesso anno: dodici metri di pittura a olio su tela, 14 metri di pittura a resina su tela, 70 metri di pittura su telina, realizzati con Giors Melanotte. Espone successivamente a Milano e Monaco di Baviera, e nell’aprile del 1959 alla galleria di René Drouin a Parigi dove realizza la “Caverna dell’antimateria”, una delle prime opere “ambientali”. Tuttavia, lo scopo politico di inflazionare e smascherare l’arte attraverso la pittura industriale fallisce.
Le tappe più significative degli anni seguenti includono una mostra personale allo Stedelijk Museum di Amsterdam, la mostra “Dalla natura all’arte” a Palazzo Grassi di Venezia, e l’invito di Maurizio Calvesi alla Biennale di Venezia del 1964, anno della sua morte.
Il gesto libero, caratteristico dell’arte informale, viene portato da Gallizio alle estreme conseguenze con la sua “pittura industriale”. La vendita “a metro” della tela dipinta avrebbe dovuto segnare la fine dell’arte moderna come valore, ma il risultato è stato l’apertura a una nuova fase, con un azzeramento cromatico realizzato magistralmente con le tele bianche e sporgenti degli artisti del gruppo Azimuth: Piero Manzoni, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi. Anche se l’intento distruttivo ultimo di Pinot Gallizio non ha avuto successo, la sua figura rimane di primaria importanza poiché strumentale alla consapevolezza di un necessario superamento dell’informale e all’apertura verso le successive tendenze del Novecento.